Dell’improbabile post che il buon Luca Mazzone ci ha regalato sulla morte di Ingrao non c’è molto da dire. Opinione legittima, come tutte, anche se del tutto disinformata e faziosa, la sua. Bene così.
Io mi vorrei soffermare però sulla frase con la quale l’autore ha pubblicato il post sulla pagina FB di Libernazione: “Ingrao riceverà onori ed elogi ipocriti e immeritati. Qualcuno deve dirlo.”
Certo, “qualcuno deve dirlo”: bisogna spezzare l’asfittico consenso di regime che si condenserà su Ingrao e ricordarne, con coraggio e sprezzo del pericolo, i molti difetti. Chi avrà questo coraggio, altrimenti?
La temeriarietà di sfidare la imperante egemonia della sinistra nel dibattito pubblico non è cosa da poco, di questi tempi. Ben venga chiunque osi abbattere il muro del silenzio e dell’omertà.
Questo, in pratica, è il messaggio di quella frase, lo storytelling squisitamente liberale che presenta opinioni imperanti e soprattutto acquisite dalla “gente-che-conta” come eretiche e rivoluzionarie prese di posizione contro il regime stalinista che ci circonda.
Ma certo.
Poi però, apri l’Unità, giornale per il quale Ingrao lavorò, rischiando la pelle, durante gli ultimi anni del fascismo, e che diresse per un decennio, dal 1947 al 1957. Apri il sito e ci trovi due editoriali, uno di Rondolino e uno di Lavia che fanno a pezzi la figura di Ingrao. Sul giornale che lui aveva diretto, al quale aveva dedicato parte della vita. Nel giorno della sua morte.
Ora, uno dice: “Beh, salutare dibattito! Non vanno creati santini e fatti sconti a nessuno. Poi i tempi sono cambiati”. E avrebbe anche ragione. Non fosse che in questo Paese QUALUNQUE fetecchia muoia viene regolarmente elevato a santo nello stesso giorno e incensato da amici e oppositori e chiunque si azzardi a sollevare qualche dubbio viene additato come sciacallo e infangatore.
Vale per tutti, non vale per Ingrao, dipinto come eretico sognatore perennemente votato alla sconfitta dalle pagine del “suo” giornale. Cercate un solo esempio di direttore di giornale morto e triturato dallo stesso quotidiano nel giorno della sua morte . Non lo troverete. Solo a Ingrao è stato riservato questo trattamento.
E allora va bene tutto, cari liberali, maramaldeggiate pure voi su Ingrao, come tanti stalinisti. Ma almeno non ci venite a raccontare che “qualcuno debba pur farlo”. Per fare i coraggiosi dissidenti, sul punto, siete ampiamente fuori tempo massimo.
Santé
Che poi non c’è niente di più liberale che riconoscere i meriti istituzionali, culturali e politici di un avversario, benché legato ad una idea (o ideologia) diversa dalla propria. Ma questi sono liberali per modo di dire.
Io non so quanto pesi L’Unità, so però che Rep-Stampa-Corriere hanno sprecato panegirici e l’hanno chiamato padre della patria. No, era uno che sbagliava. Punto.
“Era uno che sbagliava. Punto.” Non è stato uno dei protagonisti della vita politica italiana del dopoguerra. Non è stato Presidente della Camera in uno dei periodi più difficili della storia repubblicana. Semplicemente è stato uno che sbagliava. Certo.
È stato entrambe le cose. Sopratutto uno che sbagliava.
Certamente.
Ma quando schioppò Andreotti, ai tanti che “maramaldeggiavano” col sorriso stampato in faccia, Absinthe avrà pensato?
Mi ricordi quale giornale, partito politico vagamente significativo, opinionista-che-conta maramaldeggiò sulla sua morte?
In fondo che male aveva poi fatto, Andreotti, se non quell’innocente intesa con la mafia?
Finalmente un commento sensato.
Adoro Absinthe
Me too!!!